I SOGNI NASCONO AL BUIO

di Claudio Fontanini

Buio in sala, rituale collettivo, file al botteghino: c’era una volta il cinema al tempo della pandemia. Soppiantata da piattaforme e uso domestico, la meravigliosa invenzione dei fratelli Lumière vive una crisi forse irreversibile nel rapporto fiduciario con lo spettatore. Cambia lo scenario consumistico mondiale e di conseguenza anche l’Arte è costretta a subirne le conseguenze. Nell’epoca della passività virtuale e dell’illusione dell’avere tutto e subito – per giunta comodamente sul proprio divano – un click potrebbe seppellire il talento e l’artigianato che hanno reso famoso nel mondo il nostro cinema. Proprio quando, prima dell’arrivo del Covid, la
sala stava dimostrando incoraggianti segnali di ripresa, la mannaia virale che si è abbattuta sulle nostre vite ha danneggiato ancora una volta quel mondo artistico che sembra aver pagato il prezzo più alto. Misconosciuto nel migliore dei casi a livello politico quell’universo, cinema in primis, ha contribuito però in maniera
decisiva all’allentamento psicologico di interminabili giornate casalinghe. Sembra arrivato il momento di restituire all’Arte ciò che le spetta di diritto (con la cultura si mangia…) ma ora il testimone della responsabilità passa anche, e soprattutto, nelle mani di un pubblico chiamato di nuovo a partecipare dal vivo agli eventi. Nel caso del cinema, come luogo fisico, le problematiche sono molte. Letteralmente drogati da piattaforme multimediali che proliferano come i Gremlins e offrono film e serie tv a getto continuo, gli spettatori avranno ancora voglia di uscire di casa, trovare un parcheggio e sedersi sulla poltrona di una sala? Innovazione tecnologica, promozioni e una programmazione mirata sono elementi essenziali per il rilancio ma se si accorciano- o annullano- i tempi di fruizione tra sala e piattaforma-  come avviene in questa prima fase di riaperture – la battaglia sembra persa in partenza. Impossibile tenere testa ad un’offerta così ampia, e spesso disordinata, come quella dei vari Netflix o Amazon. Dove si lavora più sulla quantità che sulla qualità e dove spesso, per uno spettatore non documentato, è persino difficile orientarsi nelle home page. Perché con la perdita della centralità della sala è venuto meno anche il rapporto mediatico dell’oggetto film con la promozione. Dispersivi e di varia qualità (Mio Cinema e Io resto in sala sono esempi illuminati di due piattaforme che hanno puntato esclusivamente su film d’autore) questi juke box virtuali della settima arte relegano lo spazio filmico e la sua potenza visiva nel cantuccio di uno schermo casalingo. L’Arte come un dato di fatto e non come una conquista verrebbe da dire mentre un film western, una sequenza nello Spazio e una panoramica urlano e reclamano i loro sacrosanti diritti. Ma il problema è più ampio e coinvolge di conseguenza anche i nostri sceneggiatori che vedranno inevitabilmente rimpicciolire i propri orizzonti creativi nel nome di un cinema a due camere e cucina. Uscire, dai limiti fisici e mentali, è la ricetta per la sopravvivenza della sala che deve coabitare con l’offerta in streaming senza esserne soppiantata. Perché ascoltare una risata collettiva o percepire la commozione del
tuo vicino di poltrona rende diverso, e sicuramente più bello, anche un film.