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L’ARTE DELLA PAROLA
LE PAROLE PER UN ARTISTA COME RENATO ZERO SONO STATE DA
SEMPRE MOLTO IMPORTANTI. SCELTE CON CURA, SOPPESATE, MAI BANALI.
ALCUNE DI ESSE GLI SONO STATE SUGGERITE DA ALTRI AUTORI,
ANCHE GIOVANISSIMI COME
LORENZO VIZZINI
A cura di Alessandro Palmigiani e Michele Fraternali
Com’è nata la tua carriera d’autore?
E’ nata quasi casualmente. Ho sempre amato scrivere canzoni, sin da bambino, ma inizialmente non credevo di essere in grado di scriverne per altri. Poi, il mio primo produttore ed editore, Mario Lavezzi, mi presentò ad Ornella Vanoni, avevo 18 anni. Lei mi lanciò una sfida: mi propose di scriverle una canzone su una donna che scioglieva i suoi capelli nel mare, raccogliendo dalle onde gli uomini. La stessa notte la scrissi e qualche giorno dopo la feci ascoltare a Mario e poi ad Ornella, che mi propose di scrivere insieme il suo ultimo disco di inediti, Meticci. Ecco, probabilmente se oggi faccio l’autore, devo dire grazie principalmente a loro due.
Hai origini siciliane, cosa porti della tua terra nella tua musica?
La mia terra è come un organo vitale o un braccio, la porto sempre con me. Purtroppo però da anni le sono distante. Forse quello che più mi manca della Sicilia e che evoco maggiormente nelle canzoni è il mare, ma lo faccio involontariamente. Me lo ha fatto notare più volte un mio caro amico e collaboratore: ironicamente, appena sente qualche richiamo al mare, dice sempre che l’ho scritto io. Un lato che invece trovo comune a diversi autori siciliani è il contatto con la spiritualità, ognuno ovviamente in modalità diverse. Anche io, nel mio piccolo, lo sento abbastanza presente nella mia scrittura. Forse il contatto con tante culture differenti e la magia della nostra terra hanno contribuito a tramandarci geneticamente questa caratteristica.
Hai collaborato con numerosi artisti, quali incontri sono stati più stimolanti?
Senza dubbio ogni incontro ti lascia qualcosa, è una legge della vita e la musica non fa eccezione. Purtroppo, però, non sempre si conoscono gli artisti per cui si scrive. Probabilmente tra quelli che sono stati gli incontri per me più significativi, non posso non citare Ornella Vanoni, che mi ha tenuto a battesimo come autore e mi ha fatto crescere sotto tanti aspetti: per dire, giusto a titolo esemplificativo, il mio primo Spritz l’ho bevuto insieme a lei. Anche Arisa è un’amica che, in un periodo in cui professionalmente ero un po’ disorientato, mi ha dato tanta fiducia e dopo l’incontro con lei ho vissuto una nuova fase della mia vita da autore. Indubbiamente quello con Renato è uno tra i legami per me più importanti e profondi. Nella nostra ancora breve conoscenza la sua vicinanza in tanti momenti che ho vissuto e la sua generosità le custodisco come un prezioso regalo e sono un qualcosa per cui gli sarò sempre infinitamente grato.
Com’è nata la collaborazione con Renato Zero?
Anche in questo caso è nata grazie a Mario Lavezzi. Circa due anni fa mandai a Mario due canzoni che pensavo adatte a Renato, se non sbaglio una di quelle due era “Quanto ti amo”. Appena Mario mi rispose che a Renato erano piaciute e voleva ascoltarne altre nemmeno ci credevo. Peraltro Renato è da sempre il cantante preferito in assoluto di mia madre, quindi la sua voce mi aveva accompagnato da una vita e sentirgli cantare delle canzoni che avevo scritto è stato molto emozionante.
Ci racconti qualche aneddoto legato alla scrittura dei brani contenuti in “Zerosettanta”?
Ognuna di loro ha una sua storia. “Il grande incantesimo” ad esempio l’avevo scritta nell’estate del 2013, in due diverse settimane, tra Sardegna, Sicilia e Pescara, dove ero di passaggio e dove ho scritto il ritornello. Non l’avevo legata ad un momento molto felice, anzi. Probabilmente per questo l’avevo lasciata in una bozza di un vecchio cellulare, ma spesso quelle frasi mi tornavano in mente. Così, solo l’anno scorso ho deciso di fare un provino in casa. Dopo qualche mese l’ho mandata a Renato, il primo in assoluto ad ascoltarla, che l’ha scelta e ampliata con frasi meravigliose. Anche “La logica del tempo” ha un altro aneddoto, più divertente, quasi opposto: stava venendo a trovarmi un’amica in Sicilia, in quel periodo vivevo a Ragusa. Appena mi incammino per la stazione dei bus, distante appena 500 metri da casa mia, mi vengono improvvisamente sia le parole del ritornello che la melodia, esattamente come sono adesso. Per non dimenticarla, come spesso accade, la registrai al telefono mentre camminavo, cercando di non farmi sentire dagli altri passanti, quindi sottovoce in mezzo ai rumori del traffico. Ecco, ognuna di loro, come dicevo, ha una sua storia, sarebbe bello riuscirle a raccontare bene tutte.
Dopo due album, hai progetti futuri come interprete?
Sì, quella da interprete è un po’ la mia ora di ricreazione. Probabilmente qualcosa uscirà presto, penso per il 2021. Mi piacerebbe fra tanti anni mettere in fila i dischi con le mie canzoni, solo per vedere come mi sono evoluto come persona. Lo considero onestamente un piacere personale. Tuttavia, il mio percorso principale è da autore e sinceramente è anche quello che più mi piace.
Sei giovanissimo, sogni nel cassetto?
Restando in tema, i sogni preferisco sempre tenerli fuori dal cassetto, così prendono aria. A parte gli scherzi, ammetto che il mio sogno più grande l’ho realizzato e sono grato alla vita per questo, perché scrivere canzoni è quello che ho sempre voluto e che voglio fare per il resto della mia vita. Mi piacerebbe poter viaggiare molto e avere modo di vivere in paesi diversi. E poi un altro sogno che vorrei realizzare un giorno è un viaggio documentato, intervistando tante personalità diverse, di tante parti del mondo, per scoprire a fondo quello che sono le parole per ciascuno di noi nella nostra vita e quanto siano in grado di dividerci o avvicinarci. E se dovessi scegliere un titolo probabilmente sarebbe “Il linguaggio della terra”.