Qui ed ora tornare a dialogare
IL GRIDO DELLA POLIEDRICA ARTISTA CAMILLA CUPARO
di Vincenzo Incenzo
Drammaturga e regista teatrale, sceneggiatrice, cantautrice, pittrice e pianista, è stata definita, in occasione del Premio Landieri alla Regia per “Uccidete le madri – I Sette Peccati Capitali – Superbia”, “una tra le più interessanti drammaturghe della scena contemporanea italiana”. Camilla Cuparo, è artista preziosa e profonda, che sembra appartenere ad altre epoche, quando la creatività multidisciplinare era la regola. Mai allineata, in continua e verticale ricerca, attaccata con le unghie alle grandi battaglie di civiltà che ogni artista dovrebbe celebrare, Camilla tesse appartata la sua tela, prigioniera della sua libertà, per non esse re falsamente libera in questa prigionia, che è quella del nostro comodo ma spietato tempo. È sempre interessante parlare con lei.
Quale missione credi possa avere l’Arte oggi?
Forse dovrebbe tornare ad essere quella forma di rivoluzione vera che è sempre stata. O, lo è stata sempre per me. Non credo in nessuna forma d’arte fine a se stessa ma piuttosto sono convinta che ogni essere vivente che abbia avuto in dono una forma d’Arte dovrebbe, dopo la gratitudine all’Universo – o a Dio – sentirsi responsabile a tal punto da sentire il dovere morale e civile di denunciare tutto ciò che di marcio esiste nel tempo in cui sta transitando. L’Arte non dovrebbe accettare compromessi. Non dovrebbe mai restare muta o apatica di fronte alle varie forme di ingiustizia.
Cosa intendi testimoniare con la tua attività artistica?
Certamente che non voglio essere complice di questo Tempo se questo significa sottostare alle regole che vanno contro la mia morale. So fare un ritratto o un paesaggio, scrivere canzoni che rientrino negli schemi della canzone classica, scrivere quelli che io definisco spettacoli o film “puttana”, vendibili alle masse ma, sinceramente, non mi interessa. Preferisco la fame alla fama facile.
Parlaci del tuo laboratorio, dell’officina in cui crei, che sembra avvalersi anche di strumenti poco consueti.
La Piccola Bottega delle Arti, che ho fondato con la mia gemella Teresa venti anni fa, si occupa di Arte a 360 gradi (Teatro, Musica, Movimento creativo, Disegno e Pittura) e, soprattutto, di didattica. Essere un artista non sempre significa essere un bravo didatta. Per prima cosa siamo proprio noi a continuare a formarci, a ricercare. Da poco tempo, per esempio, ho concluso un’altra parte del mio lavoro sull’atto re, che ho racchiuso in una ricerca dal titolo: Il Corpo Depositario. Ci ho lavorato per anni, facendo tesoro della mia esperienza di conduttrice di classi di esercizi di bioenergetica ma anche leggendo tantissimi testi di medicina e psicologia. Ma tornando all’insegnamento, io e mia sorella amiamo i bambini, insegniamo loro che l’Arte va rispettata, curata, soprattutto studiata e affinata continuamente. Che non ci si improvvisa artisti ma che un artista è il risultato di talento e studio. E poi ci teniamo molto ad insegnare loro ad usare le mani per creare… recuperiamo giochi antichi, facciamo ascoltare loro musiche di altre terre. Diciamo che la nostra Bottega è un piccolo Mondo protetto e magico, nel quale l’Arte ha un significato umano profondo e l’Artista è l’Essere Umano che è Essenza stessa dell’Arte che è capace di trasmettere.
ll tuo operare nell’Arte che sia Cinema, Teatro, Pittura, Musica o insegnamento, è fortemente radicato nelle maglie della rete civile. Qual è la tua domanda alla società di oggi?
Faccio una piccola premessa. Probabilmente non riesco a staccarmi dai cerchi non chiusi del passato.
Non credo nel peccato ma piuttosto nella fragilità dell’essere umano e questo mi pone difronte a tante domande rispetto a ciò che avviene nel mio paese ma anche in tante altre parti del mondo. Io indago l’uomo e, appunto, la sua fragilità e non mi rassegno alla facile conclusione che si nasce buoni o cattivi. Il libero arbitrio non esiste se accettiamo il fatto che io non scelgo dove nascere e in che epoca vivere, non mi scelgo la famiglia… voglio dire, basterebbe ragionare su poche cose per essere costantemente grati. Invece siamo alla deriva, accecati dalla futilità del virtuale, che porta alla non responsabilità vera di ciò che diciamo o facciamo. Ecco, con la mia arte pongo e mi pongo questa domanda: dopo tutte le lezioni del passato, dove siamo finiti, come essere viventi?
Che risposta ti sei data, da artista, a questo momento storico?
Come dicevo prima, credo fortemente che l’umanità sia messa difronte a cerchi da chiudere. Che significa risolvere qui e ora il problema della ricerca scientifica, che deve essere salvifica e non superba; risolvere qui e ora il problema dell’inquinamento del pianeta, qui e ora l’ingiustizia sociale sempre più dilagante, qui e ora il problema della corruzione, qui e ora la sopraffazione di pochi potenti che decidono per tutti. Qui e ora tornare a dialogare, a leggere invece che restare ore davanti ad uno schermo a farci imbrutire da pensieri non nostri… non siamo Dio! Questo ci dice questo tempo. Ma siamo umani chiamati ad aspirare al divino, che ha ben altro significato. L’Arte e la bellezza restano la via. Sempre che l’artista sia quell’umano capace di umanità creativa e creatività umana