
COPERTINE A REGOLA D’ARTE
Intervista a Giovanni Barca
A cura di Alessandro Palmigiani e Michele Fraternali
Si definisce un autodidatta, quali sono stati i suoi riferimenti artistici?
Autodidatta perché fin da piccolo il mio passatempo preferito era disegnare. Sono nato con la matita in mano e per ragioni non dipendenti dalla mia volontà, non ho potuto frequentare scuole che potessero, in un certo senso “ufficializzare” questa mia inclinazione, quindi sono rimasto un dilettante che non possiede una formazione accademica. Il mio primissimo riferimento artistico da adolescente fu Pietro Annigoni, un pittore, disegnatore e grande ritrattista toscano che adoro tuttora. Ricordo di essere andato a trovarlo nel suo studio per chiedergli qualche consiglio ed inaspettatamente fu molto prodigo e loquace con me. Ancora oggi per i miei lavori, seguo le linee guida che mi suggerì nel 1974.
Com’è nata la sua amicizia con Renato Zero?
Nel 1976 alcuni amici mantovani mi invitarono ad andare con loro al concerto di un giovane e semi-sconosciuto artista (Renato non è solo un cantante) in una discoteca della zona, il “Patio Club” di Marmirolo, che oggi non esiste più. Mi dissero che era un po’ strano, così come lo ero io e al termine dello spettacolo me lo presentarono. Gli parlarono dei miei disegni e lui volle saperne di più, così dopo qualche tempo accettai di andare a casa sua a Roma. Abitava ancora in famiglia alla Montagnola… e poi… eccoci ancora qui! Ci racconta qualche aneddoto durante le collaborazioni artistiche con Renato? Me ne vengono in mente due. Nel 1977, durante la preparazione dell’album “Zerofobia” passammo una notte intera al residence romano di via Rocca Porena, dove all’epoca aveva stabilito il suo quartier generale, a disegnare quella che sarebbe dovuta essere la copertina dell’album. Non ricordo come fosse esattamente l’immagine che si veniva componendo, ma di certo c’erano delle figure, forse manichini, collocati sulle tavole di un palcoscenico. Da questi scendevano rivoli di sangue che alla base andavano a formare il titolo dell’album, ma in seguito l’idea fu scartata. Il disegno non so che fine abbia fatto, ma ancora conservo la scritta, realizzata a quattro mani utilizzando tutte le tonalità di rosso delle poche matite che avevamo a disposizione. Un altro episodio divertente risale al 1980, anno di uscita di “Tregua”. Ero all’oscuro del fatto che il mio disegno sarebbe diventato la copertina del disco. Nella settimana di giugno in cui uscì l’album, Renato, e di conseguenza io, ottenne la copertina di “TV Sorrisi e Canzoni” che a quei tempi, vista la sua straordinaria tiratura, era considerato la “Bibbia” della musica. La rivista andava in edicola qualche giorno prima dell’uscita del disco, per cui un bel giorno mi chiama al telefono Lucy Morante e mi dice: “Mi raccomando, d’ora in poi fai attenzione, se ti telefonassero degli sconosciuti, valuta bene quel che ti propongono, perché
non si sa mai…”. Io cado dalle nuvole e domando di cosa stesse parlando e lei mi chiese se avessi acquistato l’ultimo numero di “TV Sorrisi e Canzoni”. Vi lascio immaginare come mi sono sentito l’indomani mattina davanti all’edicola.
Ritroviamo le sue illustrazioni su “Zerosettanta”, com’è stata la genesi di questo lavoro?
Renato mi ha chiamato verso fine giugno chiedendomi se me la sentivo di sviluppare graficamente una certa sua idea. Io ho accettato, tutto qui. Ha lavorato con numerosi artisti, quali di questi le ha dato maggiori stimoli? Ovviamente Renato, in quanto fu il primo a consigliarmi di tentare la strada del colore, visto che in precedenza avevo lavorato essenzialmente in bianco e nero. Poi sono stati senz’altro molto stimolanti gli incontri con Donna Summer, per la quale negli anni ho realizzato ben quattro lavori, e Barbra Streisand, che incontrai a Roma quando venne a presentare il suo film “Yentl”. Entrambe furono molto carine e disponibili, nonché piene di lusinghieri commenti sulle mie opere. Anche Mina, in più di un’occasione, all’epoca del tour
teatrale con Giorgio Gaber, fu prodiga di complimenti nei confronti dei miei ritratti, però dopo il suo ritiro dalle scene non ebbi più modo di incontrarla. In tempi più recenti ho ricevuto delle belle soddisfazioni da Terence Trent D’Arby (oggi Sananda Maitreya), che insieme alla moglie italiana Francesca, stanno dimostrando di apprezzare molto ciò che faccio. Negli ultimi tempi il mondo delle illustrazioni è stato rivalutato dopo anni di scarsa considerazione.
Qual è il suo pensiero in merito e che consiglio darebbe a chi vorrebbe intraprendere la sua strada?
A mio modesto parere l’illustrazione tradizionale non morirà mai, anche se negli anni ha avuto i suoi alti e bassi, come tutte le tecniche artistiche. Spesso un bel disegno, un bel quadro, o anche una bella elaborazione grafica al computer, rendono molto di più di una fotografia. In quest’ultimo caso sarebbe meglio non abusare troppo di rielaborazioni che possano snaturare l’idea di base o il soggetto stesso dell’immagine. In generale però, credo che sia assolutamente necessario e salutare continuare a lavorare con le mani, altrimenti si arriverà ad un punto in cui i giovani (e lo si può notare già in alcuni bambini che faticano a scrivere con la penna perché troppo abituati alla tastiera del pc) perderanno il senso magico della creazione e questo sarebbe molto triste.
Tra i giovani talenti c’è qualcuno che le piace?
Premetto che non frequento assolutamente l’ambiente degli illustratori o degli artisti in generale. Non l’ho mai fatto, forse perché più che un artista, mi considero un artigiano della matita. Negli anni ottanta era molto in voga l’utilizzo dell’aerografo ed io invidiavo parecchio coloro che realizzavano quelle bellissime, dettagliatissime e spesso gigantesche illustrazioni con questa tecnica. Ho adorato (e chi non l’ha fatto?) le bellissime copertine dei dischi di Mina ideate da un grande art-director come Luciano Tallarini. In seguito, a mio modesto avviso, un pur straordinario artista e fotografo
come Mauro Balletti non ha fatto altro che seguire la strada aperta dal suo predecessore. Oggi su Internet vedo alcune cose egregie, anche se bisognerebbe poter osservare da vicino gli originali, per capire meglio
le tecniche utilizzate. Senza fare nomi, perché poi si finisce sempre col dimenticare qualcuno, mi sembra che nonostante tutto la tradizione continui.
