Rebibbia: porte aperte a Fonopoli!!!!
Rebibbia: porte aperte a Fonopoli!!!!
Gennaio 2005, le porte di Rebibbia sono state aperte a Fonòpoli: l’anno comincia bene!
Per chi non sa Rebibbia è l’Istituto penitenziario di Roma, uno delle più grandi ed attrezzate Case Circondariali d’Europa; l’occasione, una rappresentazione teatrale: “Attenti ai soliti ignoti!”.
Il testo è stato scritto da Giancarlo Trovato, ospite di Rebibbia come tutti i componenti della compagnia.
Un lavoro iniziato come una sorta di sfida alle sbarre circa un anno fa…
Una storia lunga da raccontare con tutte le sue sfumature, particolari e difficoltà; ma, come ogni storia basata su emozioni e sensazioni è estremamente difficile da tradurre in parole quello che è realmente accaduto fin dal primo incontro.
Accolti da parte dei nostri ospiti, prima con un leggero sospetto (come avviene quando un estraneo entra in casa propria); poi, trattati come vecchi amici rivisti dopo anni. Ed è stato così fino al debutto: complicità totale!
Fonòpoli non è nuova a questo tipo di esperienze; infatti, ripercorrendo la storia dell’associazione, troviamo Casal del Marmo – istituto penitenziario minorile di Roma – per il quale Fonòpoli ha fatto entrare la Musica – con la “M” maiuscola – grazie ai suoi grandi artisti e professionisti. Ma questa è un’altra bella storia che sarà raccontata nuovamente dai diretti interessati!
Marco Micheletti Patrignani – anche lui un ospite …con l’indole dell’organizzatore di eventi: tanto è vero che è stato lui il “punto d’incontro” tra Rebibbia e Fonòpoli – ha avuto l’ispirazione dell’iniziativa da una fotografia: suo nonno ritratto con Vittorio Gassman. Come è ben noto, Gassman è uno dei “Soliti Ignoti” – dal celebre film di Mario Monicelli. Un classico della commedia italiana – quindi, due più due… Da qui, una sorta di riadattamento fatto a misura per i nostri protagonisti. I quali hanno avuto la tenacia, nonché la volontà, di affrontare un così grande paragone. Azzardato chiamarlo paragone perché, in effetti, non può essere considerato così; infatti, i personaggi sono totalmente lontani dagli originali che resta solo da apprezzarne i caratteri e le personalizzazioni attribuiti ex novo dall’autore e dagli attori stessi. Un esempio per l’originalità dell’operazione è dato dal ruolo femminile affidato alla divina – amichevolmente così chiamata da tutti noi – Edith Esalas Morello: transessuale colombiano con alle spalle anni di Accademia di Arte Drammatica nel suo paese. Un vero evento per le attività carcerarie: per la prima volta è stato dato il permesso di far entrare in un gruppo di lavoro del reparto maschile un transessuale.
Molti che non hanno assistito allo svolgimento del lavoro immagineranno una forma di discriminazione o di semplice distacco nei riguardi di Edith; invece, grande rispetto e collaborazione da parte dei suoi compagni e non solo. Qualcosa è cambiato? Probabilmente, sì; e se così non fosse ci piace crederlo!
Il lavoro si è svolto in due fasi: aggregazione del gruppo di lavoro e ottimizzazione per la messa in scena. La prima, diretta da Francesca Olivari; la quale è riuscita a creare l’affinità giusta tra i ragazzi rendendoli pronti per il proseguimento del lavoro (di questa fase ne potrebbe parlare solo l’artefice per la complessità dell’impostazione). La seconda, affidata a Lorenzo De Feo; il quale, ha avuto il compito di dare forma e mettere in piedi il tutto con l’impostazione per la messa in scena.
Per mettere in atto la seconda fase si è steso un programma tradizionale: prove a tavolino per la caratterizzazione dei personaggi e per le intonazioni delle battute; acquisizione del ritmo; impostazione delle relazioni tra i personaggi; gestualità (corpo/sguardo); impostazione movimenti scenici (entrate/uscite e posizioni); l’importanza della controscena (concentrazione, presenza e partecipazione alla scena); utilizzo degli oggetti di scena. Tutto questo perché si dava per scontato di avere a che fare con persone di mestiere: totalmente sbagliato! Così, nel giro di un incontro, il metodo e il programma cambiano: il metodo si è applicato in maniera pratica e il programma si è svolto in modo adatto alla situazione, soprattutto usando un linguaggio non tecnico e non teorico; bensì, azione in tutto e per tutto.
La risposta da parte del gruppo è arrivata subito! E così è stato facile, nel corso delle prove, che il linguaggio e i piccoli segreti teatrali diventassero alla portata di tutti. Soddisfacente quando i ragazzi hanno cominciato ad usare, tra di loro, termini tecnici con estrema naturalezza e scambiarsi consigli!
Le complicazioni erano sempre tangibili e presenti; spesso ci si dimenticava che si stava in un ambiente dove le restrizioni sono quotidiane dettate da regole rigide ed inviolabili; i ragazzi stessi dimenticavano, a volte, forse perché presi dalla nuova situazione, di essere in un luogo dove persiste il rigoroso controllo su tutti e tutto.
Questo non ha frenato il grande entusiasmo di noi tutti, compreso il responsabile del teatro Fanio Bracciantini (corpo di polizia penitenziaria); il quale, non si è perso una sola prova e spesso regalava altro prezioso tempo per il nostro lavoro.
La passione per quello che si stava facendo aumentava di giorno in giorno! Ogni piccolo o grande problema che si presentava veniva risolto nei migliori dei modi con grande maturità e grande senso d’improvvisazione. Nessuno di loro ha mai pensato di abbandonare il proprio posto anche quando si è presentato il reale problema pratico della parte tecnica; anzi, tutti erano pronti ad operarsi per risolverlo anche con sole proposte di idee fantasiose! Una partecipazione completa da tutti i fronti in tutti i sensi! Anche dallo staff della falegnameria interna di Rebibbia: si sono improvvisati da falegnami artigianali a professionisti di scenotecnica teatrale mettendo su, a tempo di record, una complessa scenografia disegnata dal nostro Filippo Paris. Il decoratore ufficiale dell’istituto è riuscito a completare, armato di pennelli e barattoli di colori acrilici, il suo lavoro nonostante le prove in atto e il tempo ridottissimo.
Il rapporto istaurato tra noi e i ragazzi è nato e cresciuto senza superflue sovrastrutture e pregiudizi di sorta; tanto è vero che, dal nostro canto, non abbiamo mai voluto sapere il motivo del perché erano lì: avrebbe, inevitabilmente e stupidamente, influenzato il rapporto; invece, così, si è agito incontaminati da preconcetti inutili per quella situazione.
Complici – termine idoneo – di tutta l’impresa – altro termine adatto – sono stati la signora Nives Pani e Massimo Izzo (entrambi educatori); ai quali vanno tutti i nostri ringraziamenti per la loro disponibilità; e soprattutto, al direttore Carmelo Cantone che ha dato la possibilità di mettere in atto e di sviluppare al meglio il progetto. E non per ultimi, a tutti gli uomini in divisa va la nostra stima per la loro rigida sensibilità. Senza il loro supporto i ragazzi non avrebbero potuto esprimere liberamente una parte di loro stessi. Non è paradossale parlare di libertà rispetto a questa occasione: ognuno di loro aveva un ruolo, voce in capitolo e, soprattutto, un nome; per non parlare della grande responsabilità di cui si sono fatti carico. Responsabili fino in fondo proprio perché il lavoro è stato voluto da loro in prima persona! Fonòpoli non ha fatto altro che prendere per mano uno per uno e portarli in proscenio per un grande applauso meritato in pieno.
Sette gli attori in scena: Edith Esalas Morello (un’attrice con alle spalle una certa preparazione professionale); Adel Ben Toumi (nativo di Tunisi; timido e riservato ma con grande ironia); Domenico Saiu (come tutti i sardi, testardo e determinato); Luigi Russo (originario della Puglia; il quale si è rivelato un serio e grande professionista nel corso del lavoro); Pasquale Vincelli (partenopeo… basta solo questo!); Giancarlo Trovato (in scena e alla scrivania essendo lui l’autore del testo); Mauro Cerci (un vero talento naturale romano de Roma). Dietro le quinte non si poteva avere di meglio: Giovanni Polizzi (siciliano senza peli sulla lingua: un grande supervisore); Carlos Bernabè Estela (brasiliano sempre sorridente e… sempre con il caffè pronto da offrire tra una pausa e l’altra: un eccellente assistente teatrale); Ciro Salvatore (un altro partenopeo: un vero genio, professionista per la parte audio e illuminotecnica); Maurizio; Salvatore; Paolo. Caratteri, dialetti e culture diverse tutti per un solo obiettivo: questa non è un’utopia!
Questo spazio è dedicato interamente a tutti coloro che hanno voluto mettersi in gioco e, soprattutto, in discussione dandosi totalmente a qualcosa in cui hanno creduto veramente. Per mettersi alla prova? Per creare complicità di gruppo? O, semplicemente, per cimentarsi per la prima volta in teatro? Non abbiamo risposte di sorta; ma di sicuro non è stata un’occasione di puro svago o di attività didattica e tanto meno ricreativa… Molto di più! Probabilmente una conferma che il teatro può essere il risultato di un’alchimia per dimostrare che bastano pochi elementi ben assemblati come: forza, determinazione, riscatto, amore, strette di mano forti, sguardi complici; proprio come è stato a Rebibbia. Una formula che è servita per guardarsi dentro e scoprire di avere ancora molto da dare e ricevere da parte di tutti; a dispetto dei cancelli che aprono e si chiudono come se comandati da attenti fantasmi in divisa. L’auspicio è che questa alchimia continui e si consolidi in una collaborazione non occasionale, ma duratura nel tempo tra Rebibbia e l’ Associazione Culturale Fonopoli, con la presentazione, l’approvazione e l’avvio di progetti altrettanto ed anche più importanti, con l’Accademia di Arte e Spettacolo all’interno dell’istituto, che, col fine del reintegro nella società, contribuirà alla formazione ed alla realizzazione professionale e personale di artisti, tecnici, professionisti
Vorrei concludere con un P. S. della lettera aperta consegnata ai ragazzi prima di andare in scena:
P.S. Ad ognuno di voi vorrei dire: le cose che avete fatto, sono solo cose che avete fatto, non quello che siete!
Lorenzo De Feo